Non può essere niente di buono un governo che condanna a morte un filosofo che ha sempre predicato il rispetto delle leggi, il più giusto fra gli uomini.
Infatti la democrazia che vige attualmente è una forma di degenerazione del governo, in cui ai cittadini è concesso di fare ciò che vogliono, invece di attendere ai propri compiti.
Ma qualsiasi comunità, anche una banda di briganti, non può sussistere senza giustizia, che è la condizione in cui ognuno svolge la propria funzione e riceve la propria parte.
L’anima è composta da tre facoltà: desiderio, volontà e ragione. L’anima è giusta quando ogni facoltà realizza la propria virtù. Ovvero quando la ragione sa, la volontà ha coraggio, e il desiderio è temperante, insieme con la volontà, cioè sottomesso alla guida della ragione.
Una comunità è come l’anima, tripartita: c’è chi produce, chi difende e chi governa. I governanti devono essere saggi, i guerrieri coraggiosi, i cittadini temperanti, cioè sottomessi alla guida dei governanti.
Ma chi può governare e come può essere saggio?
È palese che ci sono individui prevalentemente razionali, altri prevalentemente inclini all’azione, altri ancora al corpo e ai suoi desideri.
Dobbiamo mantenere divise queste tre classi, e per lo più i figli assomigliano ai padri.
E dobbiamo educare la classe dei governanti fin dalla nascita, affinché imparino a custodire se stessi, prima, e tutti gli altri, poi, operando non per il proprio interesse ma per l’interesse comune.
Perciò sarà bene che non possiedano nulla: sia loro che i guerrieri non devono avere alcuna proprietà, né oro o argento.
Devono avere tutto in comune, case piccole e cibo semplice, nessun compenso, solo il necessario per vivere.
Sarà bene che non abbiamo neppure una famiglia, di cui si sentirebbero responsabili prima che della comunità: uomini e donne devono partecipare alla vita della comunità su un piano di totale parità, devono unirsi solo per il tempo necessario a procreare, senza vincoli sentimentali, secondo criteri definiti dalla comunità stessa per garantire figli sani, ed i figli saranno tolti ai genitori fin dalla nascita, in modo che non si sappia di chi sono figli.
Dovranno tutti vivere come in una grande e solidale famiglia.
Saranno felici perché adempiranno al proprio compito per garantire l’armonia e la felicità complessiva dello Stato.
Infatti lo scopo di uno Stato non è la felicità di pochi, ma di tutti.
E quando i governanti si appropriano di terre e di case e cominciano a perseguire l’affermazione personale, ad ambire il comando e il prestigio, diffidando dei saggi, ecco la prima forma di degenerazione del governo: l’onore diventa più importante della felicità dello Stato.
E quando diventano avidi di ricchezze, ecco la seconda forma di degenerazione: gli averi diventano la cosa più importante.
E allora la classe più povera si ribella ai governanti arricchiti, e instaura la democrazia, in cui ognuno è libero di fare ciò che vuole, e tutti tendono ad abbandonarsi a desideri smodati.
Ma allora, come reazione all’eccessiva libertà, spesso si perviene alla forma più bassa di governo, la tirannide, in cui il tiranno, per difendersi dall’odio dei cittadini, si circonda degli individui peggiori, privi di scrupolo, disonesti e crudeli. Il tiranno è schiavo delle passioni, a cui si abbandona, ed è il più infelice degli uomini.
Dunque è fondamentale l’educazione dei futuri governanti.
Anzitutto dovranno imparare la disciplina e l’armonia fisiche e mentali, attraverso l’esercizio della ginnastica e della musica.
Poi dovranno passare dalla conoscenza sensibile a quella razionale, attraverso lo studio delle discipline matematiche: l’aritmetica arte del calcolo, la geometria studio degli enti immutabili, l’astronomia studio del movimento più ordinato e perfetto, la musica studio dell’armonia.
I migliori, fra i trenta e i trentacinque anni, potranno affrontare il sapere supremo, che è la dialettica, la scienza delle idee, cioè l’oggetto della filosofia.
Coloro che saranno stati capaci di seguire bene lo studio della filosofia saranno dunque filosofi, e dovranno intraprendere un tirocinio pratico nelle cariche militari e civili, fino ai cinquant’anni.
Solo allora, avendo superato con esito favorevole tutte queste prove, potranno assurgere al governo dello Stato.
Solo i filosofi, cioè coloro che sanno, che conoscono il bene sommo, possono governare secondo giustizia; perché chi conosce il bene non può fare il male.
Ma come è possibile la conoscenza e che cosa conosciamo?
Il mondo è in perpetuo divenire, così qualunque conoscenza cui giungiamo attraverso i sensi è provvisoria, contestabile e mutevole.
Tuttavia nessuno può contestare le idee e i risultati della matematica.
Un triangolo, un cerchio, sono forme riconoscibili da chiunque, in qualunque tempo, luogo e condizione.
Ed una misura o un calcolo non sono opinabili.
Dunque gli oggetti della matematica devono in qualche modo esistere: in una forma di eternità, immutabilità e unicità. Come idee.
E la facoltà razionale della nostra anima può giungere a conoscere quelle idee. Partendo dalle forme che i sensi testimoniano, che sono sempre approssimative e imperfette, che in qualche modo imitano le idee e partecipano della loro essenza, che in qualche modo è presente in ogni cosa del mondo.
Ma se questo è vero per le idee matematiche, deve essere vero per qualunque idea.
Le idee di bene, bellezza, giustizia, sono altrettanto universali e immutabili.
Ma alle idee non possiamo giungere attraverso i sensi: i nostri occhi non vedono nessuna idea, le nostre dita non le toccano.
Da dove ci vengono?
Anche uno che non sa niente di geometria, se gli si rivolgono le domande giuste, può pervenire agli elementi di fondo e intuire il teorema di Pitagora.
È come se le idee fossero già dentro di noi, ma dovessimo fare uno sforzo per tirarle fuori.
L’esperienza sensibile è solo uno stimolo.
E poi le idee sono in qualche modo legate fra loro, per cui basta metterne a fuoco una, perché vengano a mente tutte quelle che sono legate.
Ma come sono entrate in noi?
È come se esistesse un altro mondo, il mondo delle idee, e prima di nascere in questo mondo siamo in quello delle idee, e le vediamo e le conosciamo, e quando nasciamo qui dimentichiamo tutto, ma, poiché c’è una relazione fra i due mondi, attraverso le esperienze e con lo sforzo della nostra anima razionale, lentamente iniziamo a ricordare le idee, sviluppando la vera conoscenza.
Ma non tutti riusciamo a farlo, e non tutti allo stesso modo, quindi ci devono essere differenze fra gli uni e gli altri già nel mondo delle idee, e queste differenze devono venire da vite precedenti: in conseguenza del percorso che abbiamo fatto nelle vite precedenti, riusciamo più o meno chiaramente a cogliere le idee nel mondo delle idee; e in conseguenza della conoscenza complessiva cui perveniamo, scegliamo la nuova vita che vogliamo.
Scegliamo il nostro destino.
In questo mondo ognuno si è scelto il proprio destino.
Potrei raccontarlo in questo modo.
L’anima è una biga alata, guidata da un’auriga che è la parte razionale, trainata da un cavallo bianco che è la parte coraggiosa che obbedisce all’auriga, e da un cavallo nero che è il desiderio, le pulsioni corporee, la ricerca del piacere.
L’auriga cerca di condurre la biga verso il cielo e oltre, nel mondo delle idee.
Quando riesce, può contemplarle.
Ma il cavallo nero tira sempre verso il basso.
Quando per oblio o per colpa l’anima si appesantisce, perde le ali e si incarna.
Allora l’anima che ha visto di più vivifica il corpo di un uomo che si consacra al culto della sapienza e dell’amore, mentre quella che ha visto di meno diventa un uomo dedito al mondo sensibile, lontano dalla ricerca della verità e della bellezza.
Potrei raccontare le cose anche in questo modo.
Gli uomini sono schiavi incatenati in una caverna.
Possono vedere solo ombre che si muovono sul fondo della caverna.
Credono che siano la realtà.
Ma alle loro spalle ci sono gli oggetti che proiettano quelle ombre.
E fuori della caverna c’è il mondo vero, il mondo delle idee, di cui quegli oggetti sono solo copie imperfette.
Il filosofo è quell’uomo che riesce a liberarsi dalle catene dell’ignoranza e delle passioni, si alza, si volta, e comprende la differenza fra le immagini e gli oggetti che le producono.
Esce dalla caverna e scopre il mondo che c’è fuori, di cui gli oggetti nella caverna sono imitazioni.
Subito è abbagliato dalla luce, riesce a osservare le cose vere solo per come si riflettono in un lago, e queste sono le idee matematiche.
Col tempo riesce a sollevare lo sguardo, ma solo di notte, osserva le stelle.
E infine di giorno, osserva il sole, che è l’idea di tutte le idee, il Bene, che tutto rende possibile e conoscibile.
Il filosofo resta rapito a godere di quel mondo di superiore bellezza.
Preferirebbe soffrire tutto piuttosto che tornare alla vita precedente.
Ma non può lasciare i compagni prigionieri nella caverna.
Per questo torna indietro.
Però gli occhi non sono più abituati al buio, non riesce più a discernere le ombre, e quindi i compagni lo deridono, lo disprezzano, sono infastiditi dal suo tentativo di scioglierli dalle catene e portarli alla luce, e può perfino capitare che lo uccidano.
Il punto è la bellezza.
Nell’anima che è caduta e si è incarnata, il ricordo delle idee viene risvegliato proprio dalla bellezza, che riconosciamo subito, appena la vediamo, per via della sua luminosità.
Alla bellezza rispondiamo con l’amore.
L’amore è mancanza.
Come se in origine l’uomo e la donna fossero stati uniti in un unico essere, l’androgino, che Zeus avesse diviso per punizione, sicché ora le due parti si cercano per riunirsi e ricostituire l’essere originario.
Dapprima ci innamoriamo di un singolo corpo, poi ci accorgiamo che la bellezza è presente in più corpi, ma è sempre la stessa bellezza, e così impariamo ad amare la bellezza corporea, e di qui scopriamo che esiste anche la bellezza dell’anima, e al di sopra la bellezza delle istituzioni e delle leggi, e ancora più su la bellezza della conoscenza, e infine, al di sopra di tutto, troviamo la bellezza in sé, che è eterna, perfetta, sempre uguale a se stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia.
Le idee esistono, sono ciò che è, sono l’essere, e sono molte.
Questa cosa che l’essere è solo uno, perché se fosse più di uno includerebbe il non essere, non ha senso: l’essere può essere diverso!
Ogni idea è, è identica a se stessa, ed è diversa da tutte le altre.
E rispetto alle altre può stare ferma in se stessa, oppure può muoversi verso certe altre idee.
L’essere è possibilità, è qualsiasi cosa abbia una qualsiasi possibilità di agire o subire un’azione qualsiasi, anche una sola volta.
La conoscenza delle idee è dunque anche conoscenza delle loro relazioni.
C’è un primo momento ascensivo, durante il quale abbracciamo con lo sguardo una molteplicità di cose che riconduciamo ad un’unica idea.
E c’è un momento discensivo, durante il quale partiamo da un’idea generale che dividiamo nelle idee particolari che la compongono.
Per esempio, voglio definire l’idea di filosofia: è un’attività intellettuale o manuale? Intellettuale. E ha come oggetto le idee o le cose materiali? Le idee. E quelle matematiche o quelle dei valori? I valori.
Questa è l’arte della dialettica.
La dialettica del pensiero esprime la dialettica dell’essere.
L’errore è quando dico le cose in modo diverso da come stanno.
Potrei raccontare tutte queste cose ancora in un altro modo.
In origine c’era il caos, una materia, uno spazio, privi di forma, e c’era un dio che voleva farne qualcosa di buono e bello.
Si diede a plasmare la materia a immagine e somiglianza delle idee.
Così trasformò l’universo in un immenso organismo vivente in cui si riflette la loro armonia.
Ma la materia oppone una resistenza all’azione del divino demiurgo: tutto ciò che esiste di negativo e disarmonico è la manifestazione di quella resistenza.